Viaggi brevi di lavoro: perché il rischio non è solo nei long stay

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I viaggi brevi nascondono rischi spesso ignorati: stress, incidenti, jet lag e coperture assicurative inadeguate mettono alla prova traveller e aziende

Siamo abituati ad associare il Travel Risk Management alle trasferte più lunghe: espatri in paesi critici, missioni di settimane in aree geopoliticamente instabili, viaggi di lavoro con soggiorni prolungati e numerosi spostamenti interni. Tutto vero. Ma nel frattempo, sotto i radar, si è fatto strada un fenomeno sottovalutato: i viaggi brevi ma ad alta intensità, quelli che partono il lunedì mattina e finiscono con il volo serale del mercoledì, magari dopo due riunioni, tre città e sei ore di fuso orario. Ecco: è proprio qui che spesso i rischi sono più sottili ma altrettanto insidiosi. E se non li si riconosce per tempo, è facile che la sicurezza (fisica, psicologica e operativa) del traveller venga trascurata proprio nel momento sbagliato.

Stanchezza, fretta e disattenzione: il mix perfetto pericoloso

Un viaggio breve ha un difetto strutturale: non concede margini. Il tempo è contato, ogni minuto è prezioso, e la pressione sulle performance è altissima. Il risultato? Il viaggiatore si muove spesso in condizioni di affaticamento, con ritmi serrati, pasti saltati, e una qualità del sonno che lascia a desiderare. Il tutto magari mentre guida un’auto a noleggio in un paese straniero o attraversa aeroporti affollati con il laptop in una mano e il telefono nell’altra. È in questi momenti che il rischio di incidenti stradali, cadute, o anche solo disattenzioni pericolose aumenta vertiginosamente. Eppure, nella travel policy di molte aziende, questi rischi legati alla stanchezza non vengono nemmeno menzionati. Perché? Perché il viaggio è “breve”, quindi — erroneamente — percepito come sicuro.

Jet lag e malesseri anche in 72 ore

Un altro falso mito da sfatare è che il jet lag colpisca solo nei long stay intercontinentali. In realtà, anche uno sfasamento di poche ore, se associato a un’agenda frenetica e a una scarsa adattabilità personale, può provocare disagi fisici e cognitivi. Mal di testa, difficoltà di concentrazione, insonnia, irritabilità: sintomi che compromettono non solo il benessere del viaggiatore, ma anche l’efficacia delle attività che deve svolgere sul posto. Per chi vola frequentemente su tratte Europa-USA o Europa-Asia per brevi missioni, questi effetti sono tutt’altro che rari. E non è un dettaglio da poco: perché un viaggiatore stanco e mentalmente appannato può commettere errori decisionali, perdere documenti importanti, o semplicemente non performare come atteso, con ricadute anche sul risultato dell’intera trasferta.

La tua assicurazione copre anche i viaggi brevi?

Altra trappola: pensare che un viaggio breve non necessiti di copertura assicurativa completa. Alcuni pacchetti aziendali o assicurazioni standard si attivano solo oltre una certa durata, o in base a specifiche tratte geografiche. Eppure un malore in trasferta, anche di poche ore, può generare costi importanti: visite d’urgenza, ricoveri lampo, rientri anticipati da gestire in fretta e furia. Non tutte le aziende se ne rendono conto finché non accade l’imprevisto. Senza contare che il viaggiatore potrebbe ritrovarsi senza tutele neppure per smarrimenti bagagli, furti, o cancellazioni dell’ultimo minuto. Il principio è semplice: non è la lunghezza del viaggio a determinare il rischio, ma la sua complessità. E oggi anche un “due giorni a Londra” può diventare logisticamente più impegnativo di un soggiorno di dieci giorni in una capitale europea.

Forse il punto più importante è questo: i viaggi brevi non sono meno stressanti, anzi spesso lo sono di più, perché concentrano in 48-72 ore tutto quello che un viaggio più lungo spalma in una settimana. La persona in trasferta non ha il tempo di ambientarsi, di prendere fiato, di organizzare piccoli spazi personali: arriva, lavora, riparte. Il problema è che molte aziende, nel tentativo (comprensibile) di ottimizzare tempi e costi, finiscono per sottovalutare l’impatto psicofisico di questa modalità di spostamento. Il risultato? Un accumulo di stanchezza, uno scarso engagement del dipendente, e un crescente rischio burnout. Il Travel Risk Management, se vuole essere davvero efficace, deve includere anche il monitoraggio della salute mentale e del benessere dei viaggiatori, indipendentemente dalla durata del viaggio.

Photo credit: Anna Tarazevich

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