Quanto incide la scelta del ristorante per realizzare gli affari in viaggio?

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Il dubbio, è una forma di pensiero che ben si adatta ai cercatori di verità; perché è attraverso il dubbio che spesso cresce il sapere e la consapevolezza di ogni progetto o azione.

Inizio con questa riflessione una nuova intervista per la Community di Travel for business perché è quella che mi permette di presentarvi, a mio giudizio, Stefano Bertoglio. Ho conosciuto Stefano circa un anno fa, in occasione di un percorso di sviluppo di nuove idee imprenditoriali, realizzato da Camera di Commercio di Torino, nel laboratorio NiLab, che mi ha portato a concretizzare e dare vita al progetto di Travel for business.
Un percorso che poteva sembrare una “passeggiata” per chi, come me, aveva alle spalle oltre 20 anni di esperienza in azienda. Ma ogni viaggio per una nuova avventura ti mette di fronte a situazioni, punti di vista, ostacoli e prospettive che non sempre si possono immaginare.
Ecco il compito di chi deve supportarti, sorreggerti e farti andare ancora più in profondità di un progetto. Perché solo da un dibattito vivo, concreto e senza pregiudizi puoi scavare nel dubbio per trovare soluzioni e far emergere nuove idee per realizzare i tuoi sogni.
Stefano, uno dei formatori di questo percorso, è stato da subito il mio più “ostinato” dubbioso sostenitore perché è nel suo compito umano e professionale, e nella sua natura di formatore, quello di non dare mai niente per scontato e di portare le persone in aula ad una consapevolezza vera; senza dubbi per andare spediti.
Con Stefano abbiamo continuato a confrontarci anche dopo la fine del viaggio in aula, perché da formatore è diventato un caro amico che ho il piacere di pesentarvi, anche con il suo pensiero del Viaggiare per Affari, e con qualche tips davvero interessante.

Stefano, che cosa è per te il viaggio d’affari?

È una parte della tua vita; è innegabile che un viaggio influenzi l’area di business, ma ancor di più ha un impatto incredibile sulla sfera personale.
Ecco perché penso che un viaggio d’affari dovrebbe essere vissuto con più “leggerezza”, con l’obiettivo di “arricchirsi”  prima di tutto, da un punto di vista umano e poi … anche da quello professionale, ovviamente.

Cosa intendi per “più umano”?

Intendo la consapevolezza che un viaggio di lavoro porterà ad instaurare necessariamente rapporti con persone, che magari vedrò saltuariamente e solo in specifiche situazioni.
Dovendo quindi ottenere il massimo risultato nel minimo tempo, credo sia imprescindibile privilegiare il rapporto umano prim’ancora che quello professionale.
Posso fare anche 6.000 chilometri per raggiungere un cliente, ma se di fondo e a pelle risulto fastidioso, non saranno i chilometri percorsi che mi permetteranno di avvicinarmi al mio interlocutore.  Meglio delegare l’obiettivo ad un tuo socio/collega.

Nel rapporto umano bisogna imparare a costruire relazioni, riuscire a “toccare le corde” delle persone, cercando di alleggerirle il più possibile.
Solo così si potrà sviluppare un rapporto proficuo per entrambi.

Come si risulta fastidiosi?

Vantando un eccesso di professionalità non sempre percepito in modo positivo dal cliente.
Forzando la firma di un contratto perché si deve “ottimizzare” in tutto e per tutto il viaggio fatto per ottenerla.

È legittimo pensare che si debba tornare con il contratto firmato a casa…..ma per raggiungere questo obiettivo, credo si debba imparare a non essere insistenti.

Come? Dimostrando attenzione ai particolari, cercando di entrare in empatia e, magari, manifestando una “leggerezza” che possa tranquillizzare la mia controparte.

Tecniche aggressive non sempre risultano efficaci, soprattutto nel lungo periodo, e comunque, dovrebbero sempre essere bilanciate da un atteggiamento più personale.

A volte basterebbe spostare l’attenzione sulla sfera quotidiana del nostro interlocutore, attraverso domande anche in qualche modo banali tipo:  Come sta? Tutto bene a casa? Il cane? I figli? Il clima?

Come facciamo a realizzare tutto ciò?

Da mie osservazioni e per quello che studio e leggo, mi accorgo che, spesso, non ci soffermiamo a conoscere chi andiamo ad incontrare.

Credo, invece, sia fondamentale sapere e conoscere meglio il nostro cliente, magari facendo un check sui social, verificando che cosa ha postato, i suoi punti di vista, i suoi interessi, le cose che succedono dove lui vive.

Il nostro cliente non potrà che apprezzare questo interessamento, se manifestato con la dovuta sensibilità, portandolo quindi in uno stato emotivo più aperto e disponibile.

L’empatia con il cliente, estero e italiano, è fondamentale.
Ancor di più quando esploriamo culture, etichette ed esperienze diverse dalla nostra.

La velocità di chiudere dei contratti deve, quindi, andare di pari passo alla conoscenza profonda del cliente e comprendere le cose che davvero funzionano.

Proprio recentemente leggevo un interessante libro sugli small data (“Small Data” Linndstrom Martin ed. Hoepli) dove, ad esempio, vengono spiegate le differenze di un appuntamento se fatto in Spagna piuttosto che in Svizzera, per non parlare in Africa.
Tornando quindi alla riflessione sulla “serenità e leggerezza” di affrontare il viaggio d’affari è per dire che non solo devi essere consapevole di queste cose, ma soprattutto devi essere capace di adattarti e comprendere come muoverti al meglio ovunque tu vada.

Puoi farci un esempio di come renderci “simpatici” e attraenti nel fare business?

Guarda, è molto semplice. Partiamo dal nostro essere italiani.

Quando un nuovo cliente o persona di business importante decide di venirci a trovare, la prima cosa che pensiamo è “dove lo porto a mangiare?”

Sembra un’osservazione banale, ma invece siamo portati ad associare la capacità di portare a buon fine un colloquio di lavoro con il creare una situazione di benessere che ne condizioni positivamente il risultato.

Ecco perché le mie preoccupazioni diventano.. “devo scegliere un ristorante per fargli assaggiare qualcosa di particolare, devo fargli provare il buon vino locale ecc..”.

In pratica cerco di introdurlo nel mio mondo, per farlo sentire più vicino a me e per convincerlo che ogni cosa che gli propongo è il massimo…una figata galattica!

Ti porto a mangiare nel miglior ristorante e quando tu esci di lì sei pronto a firmare il mio contratto

Il luogo è strategia ! e il ristorante è spesso un posto che mette le persone nella condizione di relax e sicurezza.  Fai vivere a lui un’emozione e soprattutto lo porti fuori dal concetto di ufficio (difensiva lavorativa) creando una maggiore predisposizione al dialogo.

Ma se siamo noi a diventare ospiti … cosa possiamo fare?

Credo si debba fare il possibile per stimolare questa convivialità che non è sempre propria di tutte le culture. Noi in questo senso siamo eccellenza!

Un esempio … se vado in Scozia, dove per altro sono anche loro abbastanza gioviali, immagino di dover trovare un “ingaggio” legato a qualche peculiarità del luogo, ad esempio la Birra.

Potrei dichiararmi un esperto in vino ed essermi sempre sentito dire che “il giorno che vai in Scozia” ti convertirai alla birra”.

Questo potrebbe stimolare il nostro interlocutore a proporsi come iniziatore di questa conversione.E mi aiuterà ad aprirmi e far aprire il mio interlocutore, facendolo sentire protagonista e orgoglioso di spiegarmi quello che, comunque, fa parte della  cultura del suo paese.

Sicuramente il rapporto, anche quello professionale, ne trarrà beneficio.

Certo, dipende dalle situazioni  e dal contesto, ma se mi sento forte del prodotto che vendo e della mia professionalità posso anche cimentarmi in un momento di confronto studiato bene.

Volete fare una prova?

Chiedete ad un napoletano come si fa la pizza e quale mozzarella utilizzare!

Ne sentirete delle belle!

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