Piano generale mobilità ciclistica e strategie europee. L’Italia è pronta per un nuovo modello di mobilità?

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Sono passati oltre quattro mesi da quando, il 12 ottobre 2022, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, in applicazione di quanto previsto dall’art. 3 della Legge 2 del 11 gennaio 2018.
Il Piano, come evidenzia un report della European Ciclists’ Federation (ECF), è frutto di un preciso impegno che anche l’Italia ha preso in occasione della quarta riunione su trasporti, salute e ambiente (Parigi, 14-16 aprile 2014),  organizzata dalla Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e dall’Ufficio Regionale Europeo dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), dove gli Stati membri hanno deciso di “avviare lo sviluppo di un piano generale paneuropeo per la promozione della bicicletta, supportato da linee guida e strumenti per assistere nella lo sviluppo di politiche di promozione della bicicletta a livello nazionale“.
 
L’iniziativa, intrapresa nell’ambito del partenariato del programma paneuropeo per i trasporti, la salute e l’ambiente (THE PEP) sulla promozione della bicicletta, guidato da Austria e Francia, ha portato, nel maggio 2021, all’adozione del piano generale pan-europeo per la promozione della ciclabilità (Vienna, online, 17-18 maggio 2021).
Il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, che ha una validità triennale, dal 2022 al 2024, è un documento strategico al quale l’allora Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili ha fatto seguire altre linee guida e vademecum per rendere le nostre città più sicure e sostenibili, anche dal punto di vista dei trasporti. L’obiettivo principale del Piano è quello di rendere, ad ogni livello, la mobilità ciclistica una componente fondamentale del sistema modale sostenibile per l’Italia, con caratteristiche di accessibilità, efficienza trasportistica ed economica, positivo impatto ambientale, strumento ad ampia accessibilità sociale e a basso costo economico.
D’altra parte anche il piano generale pan-europeo ha evidenziato i notevoli benefici, economici ed ambientali, che un aumento dell’utilizzo della bicicletta, tramite azioni di pianificazione ed infrastrutturali, porterebbe alle diverse nazioni, Italia compresa, e dove si è scelto di investire concretamente nello sviluppo della mobilità ciclistica i risultati non si sono fatti attendere.
Purtroppo il cambio di Governo, a livello centrale, ha rallentato, se non bloccato del tutto, le previsioni del Piano Generale della Mobilità Ciclistica che, ad oggi, rimane solo un bel documento di dichiarazioni di intenti.
Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, infatti, attualmente sembra più concentrato su imminenti azioni strettamente legate alla sicurezza stradale che, per quanto necessarie e sacrosante, rischiano di concentrarsi maggiormente sull’adozione di misure di sicurezza, passive e attive, che andrebbero ad interessare, con incerti risultati, soprattutto i cosidetti utenti deboli (casco, targa e assicurazione per ciclisti e monopattisti), senza mettere in gioco azioni che coinvolgano l’intero sistema della mobilità.
Nel frattempo il Parlamento Europeo, il 16 febbraio scorso, ha approvato una risoluzione sull’elaborazione di una strategia dell’UE per la mobilità ciclistica che ritiene che l’utilizzo della bicicletta debba essere riconosciuto come un modo di trasporto a pieno titolo e alla Commissione  di elaborare una strategia europea dedicata in materia di mobilità ciclistica con l’obiettivo di raddoppiare il numero di chilometri percorsi in bicicletta in Europa entro il 2030.
La risoluzione tocca diversi punti che abbracciano tutto il “mondo” che gira intorno all’utilizzo della bicicletta, compreso quello legato alla produzione, commercializzazione e manutenzione delle due ruote a pedali, invitando la Commissione a riconoscere il settore della bicicletta, compresa la produzione
di batterie per le biciclette elettriche e l’economia circolare, e in particolare le PMI, come partner legittimo nell’ecosistema della strategia industriale  dell’UE, nonché nei programmi relativi alle infrastrutture industriali e nei regimi di finanziamento.
La Commissione e gli Stati membri sono inoltre invitati ad incoraggiare progetti relativi agli spostamenti in bicicletta e ai settori connessi quali, tra gli altri, la mobilità, il turismo, la salute e lo sport e a sostenere la produzione di biciclette e componenti “Made in Europe”, stimolando in tal modo la competitività dell’industria dell’UE, colmando la carenza di investimenti, mantenendo condizioni di parità a livello mondiale e stimolando la rilocalizzazione e la sicurezza delle catene di approvvigionamento, promuovendo posti di lavoro di alta qualità, creando “cluster ciclistici” e rafforzando la formazione professionale connessa al settore.
In sostanza l’Europa punta a riconoscere appieno la valenza della mobilità ciclistica come fattore di sviluppo economico e sociale dell’Unione, anche alla luce dei sempre più veloci cambiamenti nel cambio dei sistemi di mobilità (con il passaggio verso l’elettrificazione delle autovetture) e alla necessità di adeguarsi ai diversi obiettivi UE in campo ambientale.
Riuscirà l’Italia ad avere un ruolo attivo in quello che si preannuncia un cambiamento epocale? O continuerà ad inseguire un modello di mobilità, e di pianificazione urbana, che rischia di renderla la Cenerentola dell’Unione Europea?
I prossimi provvedimenti del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, che ha già preannunciato una riforma del Codice della Strada, ci diranno qual è la direzione scelta… sperando sia quella giusta.

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