Intervista esclusiva a Travel for business
Partire per andare incontro a se stessi. Perdersi per ritrovarsi. Sebastiano Ramello, scrittore e viaggiatore per vocazione, ha attraversato l’Himalaya non solo con lo zaino sulle spalle, ma con l’anima aperta al mondo. Il suo libro Autostop attraverso l’Himalaya (Echos Edizioni) racconta un viaggio reale, vissuto sulla pelle e nelle ossa, tra i passi oltre i 5000 metri, lungo le frontiere tese tra Pakistan, Tibet, India e Nepal. Un viaggio che è anche una visione, una prova, una lenta meditazione sulla libertà.
Non fu una decisione razionale a spingerlo su quelle strade. Mentre si trovava a Dharamsala, ospite dei monaci tibetani in esilio, in un momento in cui sentiva di aver già esaurito le ragioni del viaggio, accadde qualcosa. Una notte di luna piena, un’ombra proiettata su una tenda lo fece pensare a un demone tibetano. Poi, nel sogno che seguì, vide suo padre – anche lui, anni prima, aveva girato il Mediterraneo in autostop – che gli faceva segno di seguirlo.
Quel sogno bastò. Al risveglio, aveva già deciso: avrebbe attraversato le carreggiate più alte del pianeta come facevano gli hippy negli anni ’60, con il pollice sollevato e lo zaino pieno di sogni, lasciandosi guidare dagli incontri, dagli eventi, dai propri passi.
Sommario
ToggleL’autostop come atto di fiducia
Il viaggio è durato più di tre mesi, ma in realtà è stato parte di un’esplorazione ancora più lunga, quasi un anno e mezzo tra India e Nepal. L’autostop, in quei territori remoti, diventa più di un mezzo: diventa un atto di fiducia cieca nel mondo e nelle persone. Camionisti, soldati, monaci, sadhu e viaggiatori si sono alternati lungo il percorso, contribuendo a scrivere una storia collettiva che ha il sapore della vita condivisa.

Su certe strade dell’Himalaya non passa quasi nessuno. Ma quei pochi mezzi che transitano, si fermano. Si crea una solidarietà istintiva, simile a quella che unisce marinai dispersi in mare. In uno di questi incontri, Ramello ha conosciuto un santone tantrico indiano, Nanghjiri Baba, con cui ha vissuto in una grotta lungo il Gange, condividendo silenzi e visioni. In un altro, ha incontrato una giornalista italiana, Maria Grazia, a Leh, proprio la sera della vittoria dell’Italia ai Mondiali del 2006. Si trovavano lì per motivi diversi, ma finirono per fondere i loro itinerari in un unico cammino verso il ghiacciaio di Siachen.
Sopravvivere all’Himalaya
Le avventure non sono mancate. Come la scalata solitaria allo Stok Kangri, cima spettacolare del Ladakh. Una montagna che Ramello aveva già sognato in Italia e che, appena vide dal vivo, sentì di dover salire. Ma si perse, a oltre 5000 metri, senza acqua, con trenta chili sulle spalle e il buio che avanzava. Il mal di montagna e la stanchezza lo fecero cedere, per un attimo, al desiderio di lasciarsi andare sulla neve. Ma in quei momenti, racconta, è la concentrazione a salvarci. La paura si trasforma in energia, la mente si stringe attorno all’unico obiettivo: sopravvivere. E da lì si rialzò, segnato, ma più forte.
In quegli anni, l’India e il Nepal erano attraversati da turbolenze politiche e attentati. A Delhi, ricorda, passò per una piazza affollata appena prima che esplodessero delle bombe. Eppure, anche nei luoghi più fragili, la voce delle persone restava chiara: volevano pace. Persino in Kashmir, zona calda per eccellenza, chi lo accoglieva parlava solo di tolleranza e rispetto.
Il senso della spiritualità
L’Himalaya non è solo una montagna: è una presenza. Un altare di pietra e neve che impone silenzio e riflessione. Per Ramello, la spiritualità non ha avuto forma religiosa precisa, ma è stata intensa. Nei monasteri tibetani, nei discorsi con i monaci sul destino e l’esilio, nei cieli stellati osservati in silenzio con un insegnante di matematica – che poi scoprì essere una delle persone più vicine al Dalai Lama – si è sviluppato un rapporto diretto con qualcosa di più grande.

La spiritualità, dice, può essere vissuta senza dogmi. Nei suoi giorni con una giovane monaca dai tratti luminosi, in una pineta nei dintorni di Dharamsala, ha sperimentato una pace semplice, fatta di gesti quotidiani, di gentilezza silenziosa. Persone così lasciano un’impronta, e nei momenti duri, sono loro che Ramello richiama alla mente per ritrovare forza e bellezza.
Un viaggio senza risposte, ma con molte conferme
Non cercava risposte, né verità assolute. Anzi, proprio l’assenza di uno scopo gli ha permesso di essere completamente aperto. Ma qualcosa è tornato indietro da quelle alture: la conferma che si può vivere con molto meno. Che il consumismo ha svuotato di senso la vita di troppi, rendendoci schiavi di oggetti inutili, a scapito delle passioni e degli affetti. L’Himalaya diventa così anche un monito. Un luogo dove la misura non è quella dell’orologio, ma della propria capacità di restare umani.
Libertà: la vera cima
Se c’è una parola che definisce tutto il viaggio, è libertà. L’autostop è libertà pura: scegliere dove andare, quando fermarsi, a chi affidarsi. È accettare l’imprevisto, scivolare nel presente. Ma è anche sfida, rischio, abbandono delle sicurezze. Più che un mezzo di trasporto, è un modo di vivere. Un’esplorazione non solo geografica, ma interiore.
Nei luoghi estremi, si vede il mondo per com’è: complesso, contraddittorio, pieno di meraviglia e follia. Eppure, durante quel viaggio, Ramello non ha mai perso fiducia nell’umanità. Semmai, l’ha persa a volte tornando a casa, dove il benessere si trasforma in isolamento, egoismo, invidie.
Un invito al lettore
Con questo libro, l’autore vuole portare il lettore lungo le sue strade, ma anche dentro i suoi silenzi. Farlo riflettere sulle paure che ci bloccano, sulle abitudini che ci anestetizzano. Mostrargli che un’altra vita è possibile. Più libera, più vera, più leggera.
A chi sogna un’esperienza simile, dice di fare il primo passo. Perché da lì tutto si muove. E anche se consiglia prudenza – specialmente per le donne che viaggiano da sole – resta convinto che la strada abbia ancora molto da insegnare.
Ramello ha già pubblicato altri due libri: La Maschera, un thriller internazionale ispirato a eventi reali, e In viaggio con Maneki, il racconto di un viaggio in barca a vela tra le isole Canarie, nell’Oceano Atlantico, insieme a una cara amica conosciuta proprio in Himalaya. Lei, da anni, vive in solitaria su una barca a vela: un’esistenza scelta all’insegna della libertà più radicale. Storie di mare, di vento e di legami che si riannodano anche a migliaia di chilometri di distanza. Attualmente, l’autore sta lavorando a una raccolta di esperienze vissute tra il Centro America e il Sud-Est Asiatico. Storie di confine e trasformazione, che forse un giorno diventeranno il suo quarto libro.
Perché per chi ha il coraggio di ascoltare, ogni luogo – anche il più remoto – può diventare casa. Ogni strada può diventare una risposta.

Autostop attraverso l’Himalaya
📍Segui Sebastiano Ramello su Facebook:
👉 El Loco Nel Mondo