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ToggleUna policy Travel Risk Management deve adattarsi al rischio reale, al ruolo del dipendente e al contesto operativo ed essere ben comunicata
Il concetto di duty of care, ovvero l’obbligo del datore di lavoro di proteggere i propri dipendenti anche durante le trasferte, oggi è un dovere morale del quale le aziende non possono più farne a meno. La responsabilità verso i propri dipendenti in viaggio impone alle aziende di strutturare una policy di Travel Risk Management (TRM) solida, aggiornata e soprattutto utile. Il problema è che spesso queste policy esistono solo sulla carta. Sono generiche, troppo lunghe, scritte in legalese e… nessuno le legge. Oppure vengono diffuse con una circolare interna che finisce dimenticata in una cartella condivisa.
Eppure una buona Travel Risk Management può salvare una vita, o almeno il suo benessere psico-fisico. Senza trascurare il fatto che ciò aiuti ad evitare un danno reputazionale (e legale) serio per l’azienda. Vediamo allora come costruirla davvero bene, quali voci non devono mai mancare, e come far sì che venga letta, compresa e utilizzata dai viaggiatori.
Una policy per il Travel Risk Management serve davvero?
Troppe aziende hanno una “policy TRM” nel cassetto. È un documento che esiste, magari stilato anni fa, copiato da un template generico, pieno di frasi da manuale ma privo di istruzioni reali. Ancor più spesso sta bene lì, in un cassetto impolverato sotto scartoffie e rendiconti vari. La cosa ancor più spiacevole è che nella maggior parte dei casi i dipendenti che viaggiano non sanno nemmeno della sua esistenza. Ma il nodo è proprio qui: non deve essere scritto per il legal office, ma per chi si trova da solo in un aeroporto internazionale con lo zaino in spalla! Una policy di travel risk management è utile solo se chi parte lo conosce, lo capisce e lo usa. Deve rispondere a domande pratiche: “Chi chiamo se succede qualcosa?”, “Cosa faccio se perdo il passaporto o se mi arrestano?”, “La mia assicurazione mi copre anche se prolungo il viaggio per motivi di forza maggiore?”.
Il primo consiglio per i travel risk manager è quindi di scrivere (o riscrivere) la policy TRM con un obiettivo chiaro: la fruibilità. Usa un linguaggio diretto, evita il burocratese, dividi il testo in sezioni operative. E prevedi formati diversi per ruoli diversi: una versione estesa per il management e la compliance, e una sintetica (tascabile o digitale) per chi viaggia davvero.
Cosa deve contenere una policy TRM efficace: le voci imprescindibili
Una policy TRM ben strutturata non può limitarsi a un generico “raccomandiamo prudenza”. Il documento deve diventare una guida chiara, aggiornata e verificabile. Possiamo identificare delle macro-sezioni essenziali che ogni policy dovrebbe contenere, con esempi e suggerimenti su come strutturarle.
Contatti di emergenza, sempre accessibili
Tra gli elementi più importanti, c’è senza dubbio la presenza di contatti di emergenza chiari e attivi 24 ore su 24, con numeri facili da memorizzare o raggiungibili da qualsiasi parte del mondo. Non ci si può limitare al numero dell’assicurazione: occorre indicare anche un riferimento interno all’azienda, come il travel manager, l’ufficio sicurezza o – nei casi più strutturati – la centrale operativa aziendale, se presente. L’ideale è spiegare, fin dalle prime righe, chi chiamare, in quali casi e cosa aspettarsi da quel contatto: assistenza medica, logistica, supporto psicologico o operativo.
Dettaglio delle coperture assicurative
ltrettanto importante è spiegare quali coperture assicurative sono attive, con esempi pratici. Non basta dire “sei assicurato”, bisogna entrare nel dettaglio: copertura medica fino a un certo massimale, eventuale rimpatrio d’urgenza, tutela legale, responsabilità civile, evacuazione da zona di crisi, assistenza in caso di calamità naturali o attentati. È utile aggiungere, magari in appendice o tramite un link, la polizza completa, ma ancora più utile è offrire una versione sintetica visiva, come una tabella con le voci principali o un’infografica facilmente consultabile anche in viaggio.
Comportamenti vietati nei Paesi a rischio culturale o normativo
Ci sono poi quelle situazioni che nessuno si augura, ma che vanno previste: arresti, fermi da parte delle autorità, attentati, disordini civili, disastri naturali. È in questi momenti che la policy fa la differenza. La persona in viaggio deve sapere, senza dover cercare altrove, cosa fare e cosa non fare. Ad esempio: in caso di arresto, non firmare nulla senza un rappresentante consolare; in caso di attacco terroristico, allontanarsi solo se le autorità lo consentono e contattare subito il team aziendale di riferimento. Le istruzioni devono essere scritte con chiarezza, quasi come un protocollo operativo.
Istruzioni per casi estremi: arresto, terrorismo, catastrofi naturali
Infine, una sezione che troppo spesso viene trascurata, riguarda i comportamenti vietati o culturalmente sensibili nei Paesi di destinazione. La policy dovrebbe includere un richiamo esplicito ai rischi legati a usi e costumi locali, leggi restrittive o norme religiose particolarmente rigide. Si può segnalare, ad esempio, che in alcuni Stati del Golfo è vietato fotografare edifici pubblici o persone senza consenso, o che in determinati Paesi l’omosessualità è ancora perseguita penalmente. Quindi informare i propri dipendenti appartenenti a minoranze equivale a tutelarli. Inserire queste informazioni significa proteggere concretamente il lavoratore ed evitare situazioni che potrebbero degenerare anche a livello diplomatico o aziendale.
Personalizzazione e scalabilità: una policy TRM non può essere uguale per tutti
Una delle principali debolezze nelle policy aziendali di travel risk è l’applicazione di un modello unico e standardizzato, valido per qualsiasi viaggio. Ma il contesto di una trasferta a Parigi per partecipare a un convegno è ben diverso da quello di una missione tecnica a Lagos, o di una negoziazione commerciale in una zona rurale dell’India. I livelli di rischio cambiano radicalmente, così come le condizioni ambientali, sanitarie, normative e infrastrutturali. È per questo che una policy TRM efficace deve prevedere protocolli scalabili e modulabili in base al Paese di destinazione, al ruolo del dipendente e alla durata del viaggio.
Il travel risk manager dovrebbe proporre una classificazione interna delle destinazioni, basata su fonti ufficiali come le schede della Farnesina, il Global Peace Index o le valutazioni di sicurezza fornite dalle compagnie assicurative partner. È utile creare una mappatura che distingua, ad esempio, tra Paesi a basso, medio e alto rischio, e associare a ciascun livello una serie di misure specifiche: dalla necessità di un briefing pre-partenza fino all’obbligo di tracciamento in tempo reale durante la missione. Allo stesso modo, un dirigente C-level e un tecnico operativo avranno esigenze differenti in termini di protezione, equipaggiamento, comunicazione e libertà decisionale. L’efficacia della policy si misura anche dalla sua capacità di adattarsi alle condizioni reali del viaggio, offrendo soluzioni personalizzate ma coerenti con il framework aziendale complessivo.
Una travel risk management policy che nessuno legge è una policy inutile
Scrivere una policy impeccabile è solo metà del lavoro. L’altra metà, forse quella più critica, è farla conoscere e interiorizzare da chi viaggia. Una policy che resta in un file PDF sul server aziendale, o che viene allegata a una mail mai aperta, è del tutto inutile. La vera sfida del travel risk manager è quindi culturale prima ancora che operativa: trasformare la policy da documento statico a strumento vissuto.
Per ottenere questo risultato, è necessario inserire il documento nella vita reale dell’azienda. La policy deve entrare nel processo di onboarding per tutti i dipendenti che viaggeranno per lavoro, magari attraverso una breve sessione di formazione interattiva. Può diventare oggetto di aggiornamenti periodici, con incontri brevi ma regolari in cui si condividono casi reali, simulazioni, nuove regole nei Paesi target. In corrispondenza di ogni trasferta, il dipendente dovrebbe ricevere promemoria sintetici e personalizzati, che riepiloghino le regole fondamentali, i numeri da contattare, le criticità locali.
La diffusione deve sfruttare canali interni efficaci, come app aziendali, intranet, chatbot o newsletter mirate. Meglio ancora se il contenuto viene adattato in formati visivi e agili: una pagina infografica, un vademecum “da tasca”, una dashboard interattiva. Anche la formazione può essere ripensata in chiave smart: quiz online, microlearning con brevi video o scenari a scelta, giochi a premi per stimolare l’attenzione. In questo modo, la policy TRM non sarà più percepita come un’imposizione formale, ma come un alleato concreto per chi viaggia, capace di rafforzare la fiducia e la percezione di tutela da parte dell’azienda.
Photo credit: Austin Zhang