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ToggleChatbot, assistenti digitali e primi esperimenti AI agentica: il viaggio verso la piena trasformazione digitale è iniziato, ma non ancora finito.
Negli ultimi decenni, il mondo dei viaggi ha attraversato una serie di trasformazioni che hanno riscritto le regole del gioco. Dai primi sistemi GDS, che negli anni ’60 permisero di prenotare un volo in pochi secondi, fino all’avvento delle agenzie online negli anni ’90 e alla rivoluzione mobile degli anni 2000, ogni ondata tecnologica ha ridisegnato il modo di spostarsi e di vivere il viaggio. Oggi, una nuova rivoluzione si affaccia all’orizzonte: quella dell’intelligenza artificiale, in particolare nella sua forma più evoluta, la cosiddetta AI agentica, cioè capace non solo di suggerire ma anche di agire autonomamente. Questa tecnologia promette di semplificare processi complessi, ottimizzare costi e creare esperienze di viaggio personalizzate e senza interruzioni. Tuttavia, come spesso accade con le grandi innovazioni, tra aspettative e realtà c’è ancora un gap da colmare.
Un’adozione in crescita, ma ancora frammentata
I numeri raccontano un entusiasmo concreto: solo il 4% delle aziende travel citava l’AI nei propri report annuali nel 2022; due anni dopo, la percentuale è salita al 35%. E se nel 2023 gli investimenti venture legati all’intelligenza artificiale rappresentavano appena il 10% del totale, nel 2025 hanno superato il 45%.
Ma al di là dei dati, l’AI sta già mostrando risultati tangibili. Oltre la metà dei dirigenti intervistati da McKinsey e Skift dichiara di aver ottenuto benefici misurabili: decisioni più rapide, maggiore produttività e una customer experience più personalizzata. In alcuni casi, l’intelligenza artificiale ha contribuito a un incremento dei ricavi o a una riduzione dei costi di oltre il 6% annuo. Per chi si occupa di travel management, significa avere finalmente strumenti in grado di analizzare i flussi di viaggio, prevedere trend e ottimizzare budget in tempo reale. Tuttavia, questa corsa all’AI non è priva di ostacoli.
Il travel è un settore naturalmente complesso e frammentato: compagnie aeree, hotel, agenzie, piattaforme di pagamento e servizi di mobilità operano su sistemi diversi e spesso incompatibili. Ogni attore custodisce i propri dati come un tesoro, ma senza scambio e interoperabilità l’AI non può esprimere appieno il suo potenziale. McKinsey stima che un singolo viaggiatore interagisca in un anno con oltre 100 piattaforme diverse, e che i dati relativi alle sue preferenze, ai suoi comportamenti o alle sue abitudini di spesa siano sparsi in decine di database non integrati.
Il risultato è che l’intelligenza artificiale deve lavorare con informazioni parziali e non aggiornate, come se dovesse risolvere un puzzle senza avere tutte le tessere. Questo spiega perché, a oggi, le esperienze di viaggio restano poco coordinate e perché la promessa di un ecosistema “smart” non si sia ancora pienamente concretizzata.
Una questione anche culturale
La prima generazione di progetti AI nel settore viaggi si è concentrata su strumenti di supporto, come chatbot e assistenti digitali. Si tratta di soluzioni utili ma ancora limitate, spesso nate come esperimenti interni e non integrate nei processi aziendali. Molte compagnie aeree, catene alberghiere e OTA hanno implementato “copiloti” per aiutare i dipendenti a gestire prenotazioni o rispondere ai clienti, ma la loro efficacia resta confinata a piccoli segmenti operativi. Il risultato è un mosaico di iniziative non coordinate: tante isole tecnologiche che non comunicano tra loro. L’AI, per funzionare davvero, ha bisogno di dati condivisi, standard comuni e visione strategica, altrimenti rischia di restare un esperimento costoso.
Alla frammentarietà tecnologica si aggiunge una resistenza culturale. Storicamente, l’ospitalità e il trasporto hanno fatto leva sulla relazione umana, non sull’automazione. Non sorprende quindi che solo l’1% della forza lavoro del settore viaggi sia impiegata in ruoli tech, contro il 4% di altri comparti industriali. L’11% delle aziende del settore dichiara di non usare affatto l’AI – quasi il doppio rispetto ad altri settori. Come ha osservato il presidente di Hilton, “gli hotel sono rimasti indietro nell’adozione dell’AI proprio perché focalizzati sull’esperienza umana”. Il rischio, però, è che la tecnologia vada avanti comunque, lasciando indietro chi non si adatta.
Un potenziale ancora da sbloccare
A rendere il quadro più complesso c’è anche un aspetto culturale. Il turismo e l’ospitalità sono da sempre settori fortemente basati sulla relazione umana, sul contatto diretto, sull’esperienza emotiva. L’innovazione tecnologica è stata spesso vista come un supporto, non come un motore strategico.
Il risultato? Meno investimenti, meno competenze e meno velocità di adattamento. Secondo i dati McKinsey, solo l’1% dei lavoratori nel settore viaggi occupa ruoli tecnologici, contro il 4% in altri comparti. E circa l’11% delle aziende travel non utilizza affatto l’intelligenza artificiale. È un ritardo che non si misura solo in numeri, ma in opportunità mancate. Oggi chi investe in innovazione non solo riduce costi e tempi, ma costruisce un vantaggio competitivo duraturo.
La buona notizia è che la direzione è tracciata. L’intelligenza artificiale non è più un esperimento, ma un tassello chiave per costruire la mobilità del futuro. La nuova generazione di AI agentiche – capace di dialogare tra piattaforme e agire autonomamente – promette di superare la frammentarietà attuale.
Non si tratta più solo di digitalizzare processi, ma di ripensarli: viaggiatori, aziende e operatori potranno contare su strumenti che anticipano le esigenze, automatizzano decisioni e semplificano ogni passaggio. L’AI nel travel non è più una scommessa: è una rivoluzione che aspetta solo di essere completata.
Photo credit: cottonbro studio










