Chi controlla davvero il tuo viaggio? Dietro le quinte delle API del turismo

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Organizzare un viaggio oggi è un gesto quasi istintivo: qualche clic sullo smartphone, un paio di confronti tra voli e hotel, ed ecco il sogno prenotato. Ma cosa accade dietro a quell’esperienza utente così fluida? La risposta si cela in tre lettere tanto tecniche quanto potenti: API.

Le Application Programming Interfaces, o più semplicemente API, sono i canali invisibili che permettono a piattaforme, sistemi e fornitori diversi di “parlarsi” tra loro. Senza di esse, il turismo online moderno non esisterebbe.

Guardando l’infografica realizzata da AltexSoft, la varietà di fornitori può trarre in inganno. Decine di nomi, ciascuno specializzato in un aspetto dell’esperienza di viaggio: dalle API di volo di Amadeus e Sabre, ai pacchetti esperienziali serviti da GetYourGuide, Klook, o Viator. Un mosaico apparente di libertà e concorrenza.

Credits immagine AltexSoft 

Il panorama delle API nel turismo si divide, infatti,  in numerosi sottoinsiemi, ognuno con un ruolo cruciale. Le Flight Booking APIs, per esempio, sono il cuore pulsante di ogni motore di ricerca voli. Diversa, ma complementare, è la funzione delle Flight Data APIs. Qui si entra nel regno dei numeri grezzi: orari di decollo e atterraggio, ritardi, gate. Provider come FlightStats, OAG e Skyscanner alimentano sistemi di monitoraggio e alert, fondamentali per le compagnie ma anche per i viaggiatori.

E poi ci sono gli hotel, settore dove colossi come Booking.com, Expedia, e integratori come GIATA e Hotelbeds forniscono database sterminati di strutture, recensioni, e foto. Anche qui, le API permettono alle OTA (Online Travel Agencies) di assemblare in tempo reale offerte personalizzate.

Ma se si guarda meglio, emerge un dato interessante: gran parte delle rotte digitali passano per pochissimi snodi centrali. Alcuni provider fungono da veri e propri “gatekeeper” del viaggio. Chi vuole costruire una piattaforma di prenotazioni, oggi, non può prescindere da questi attori. E il rischio di una dipendenza tecnologica e commerciale è più che concreto.

Non è finita. Le API coprono car rental (con nomi come CarTrawler e Lyk), rail (Omio, Trainline), e perfino i trasporti pubblici, dove attori come Google, Moovit e Here stanno digitalizzando le mappe urbane.

In parallelo, cresce l’importanza delle Things-to-Do APIs: aggregatori di esperienze locali, escursioni, tour guidati, biglietti per musei e spettacoli. Pensiamo a GetYourGuide, Tiqets, Klook o Viator. Un mercato in espansione, che si gioca tutto sull’instant booking e l’integrazione con itinerari complessi.

Centralizzazione o interoperabilità?

È la grande questione non detta: il sistema delle API favorisce la centralizzazione o l’apertura? In teoria, le API sono nate per favorire l’interoperabilità. In pratica, però, molti fornitori operano in regime di “walled garden”, con accessi selettivi e magari costi proibitivi.

E se domani una di queste piattaforme decidesse di cambiare le regole del gioco? Una modifica alle condizioni d’uso, un cambio di politica commerciale, e decine di startup travel potrebbero trovarsi paralizzate.

L’AI come nuovo nodo critico

Un altro elemento si affaccia all’orizzonte: l’intelligenza artificiale. Sempre più API iniziano a integrare modelli predittivi, chatbot, analisi comportamentale in tempo reale. Potenzialmente utile, certo. Ma anche qui, si apre una nuova zona grigia.

Se l’AI decide quale hotel suggerire, quale esperienza raccomandare, quale treno consigliare… siamo ancora noi a scegliere? O stiamo solo reagendo a un flusso automatizzato che imita il libero arbitrio?

Il futuro del turismo passerà (inevitabilmente) dalle API. Ma ciò non significa che debba farlo senza regole, né trasparenza. Ed evitare che possano diventare delle “dogane digitali”. Voi che cosa ne pensate?

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Foto di Google DeepMind: https://www.pexels.com/it-it/foto/clima-astratto-tecnologia-ricerca-17485678/

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