Nel settore del business travel, spesso considerato un termometro anticipatore dello stato di salute delle imprese, il 2025 segna una fase di ridefinizione profonda. La combinazione tra digitalizzazione accelerata, tensioni geopolitiche e rimodellamento delle catene globali del valore sta modificando non solo la domanda delle aziende, ma anche il ruolo delle Travel Management Company (TMC). È in questo contesto che si inserisce l’intervista a Luca Patanè, Presidente di Uvet American Express Global Business Travel e del Gruppo Uvet, al BizTravel Forum 2025, un confronto che restituisce la fotografia di un settore chiamato a ripensare la propria infrastruttura tecnologica, organizzativa e culturale.
Sommario
ToggleLe imprese come osservatorio privilegiato del cambiamento
La domanda aziendale costituisce il primo elemento di analisi. Patanè rileva come le imprese che operano con maggiore continuità sui mercati internazionali – in larga parte PMI italiane – mostrino una crescente esigenza di processi integrati, infrastrutture digitali e rapidità decisionale. «La visione nasce dalla capacità di ascolto, innovazione e investimento», afferma, collegando la qualità della mobilità d’affari alla maturità organizzativa dell’azienda.
L’evidenza raccolta nell’ecosistema Uvet indica una correlazione netta: le imprese che rivedono i propri processi interni adottano più facilmente sistemi digitali di gestione del viaggio e ottengono una riduzione misurabile degli attriti operativi. Le altre tendono a riprodurre inefficienze lungo tutta la filiera: cicli autorizzativi più lenti, processi di prenotazione frammentati, minore controllo dei costi.
Le TMC nella nuova geografia del travel: dalla gestione operativa alla funzione strategica
Il posizionamento delle TMC evolve parallelamente. L’intermediazione tradizionale lascia spazio a un modello basato sulla consulenza continuativa, sull’integrazione dei dati e sulla capacità di interpretare scenari globali più incerti. Per le imprese, il viaggio d’affari assume una valenza che travalica la semplice trasferta: diventa una leva per difendere quote di mercato, sviluppare nuovi sbocchi commerciali e presidiare rapporti con partner e fornitori in un quadro geopolitico più volatile.
Digitalizzazione come architettura di sistema
La trasformazione digitale, per Patanè, non è un tassello aggiuntivo, ma la nuova infrastruttura del travel. «Chiamiamola digitalizzazione a 360°», afferma. Il punto non è adottare un booking tool, ma ridisegnare il back office, integrare fornitori e clienti, fluidificare il processo di prenotazione. «Certi lavori di back office vengono asciugati non soltanto dall’intelligenza artificiale, ma dal cambio delle procedure e dall’education che si fa col cliente», spiega.
Il dato che indica un percorso consolidato è il tasso di adozione dei booking tool, cresciuto del 4–5% l’anno. Anche se l’Italia resta distante da mercati più maturi, come la Francia, il trend è chiaro. Uvet si muove da “evangelizzatore”: «Siamo apostoli della digitalizzazione, portiamo le aziende verso strumenti che aumentano trasparenza e fruibilità».
Uno dei passaggi più significativi riguarda l’uso della voce nelle applicazioni. Patanè lo definisce un cambio di paradigma: «Mi sono reso conto che è molto più veloce lavorare sui messaggi vocali che scrivere. Ho deciso di integrare nei nostri tool la possibilità di richiedere servizi attraverso la voce. Per noi sarà una nuova rivoluzione». È il segnale di una digitalizzazione che non riguarda solo le piattaforme, ma i comportamenti quotidiani degli utenti.
Geopolitica e mobilità: una variabile strutturale
Il quadro internazionale domina una parte rilevante dell’intervista. Il conflitto in Ucraina e la rivalità tra Stati Uniti e Cina modificano la geografia del trasporto aereo, allungano le rotte verso l’Asia e alterano il gioco competitivo tra compagnie. Le compagnie cinesi, abilitate a sorvolare lo spazio russo, accrescono la loro presenza in Europa, mentre i vettori occidentali devono operare con vincoli più rigidi.
Patanè interpreta questi segnali come elementi di un processo più ampio: «Il conflitto strategico America-Cina alimenta una tendenza alla deglobalizzazione», osserva. La rilocalizzazione di una parte delle attività manifatturiere verso gli Stati Uniti (e in prospettiva verso l’Europa) aumenterà la pressione sui viaggi regionali e sul presidio diretto dei mercati.
Il business travel diventa così una componente della strategia industriale, non un mero supporto logistico. La mobilità d’affari permette di sviluppare relazioni in contesti in cui l’incertezza delle catene globali impone maggiore prossimità e interazione diretta.
La domanda di travel oltre il rimbalzo post-pandemico
Il 2024 ha concluso la fase di recupero post-pandemico. La crescita del settore assume ora un profilo più strutturale. Uvet registra un incremento tra il 10 e il 15% per volumi e valori, con una dinamica dei prezzi influenzata da fattori industriali più che speculativi. L’offerta aerea risente dei limiti produttivi dei costruttori, con ripercussioni sulla disponibilità di posti e sulle tariffe, mentre segmenti come l’alta velocità mantengono livelli di prezzo costanti.
L’indicatore che emerge è di natura qualitativa: le imprese tornano a viaggiare per consolidare relazioni commerciali, esplorare nuovi mercati e sostenere modelli di business più orientati all’internazionalizzazione.
Fare squadra nella filiera del travel: un obiettivo difficile, ma necessario
Alla domanda sul perché l’Italia faccia fatica a “fare squadra”, Patanè risponde con pragmatismo: «È difficile ovunque». Ma nel travel, la cooperazione non è un’opzione, è una condizione di sopravvivenza. Coinvolge istituzioni, fornitori, TMC e imprese clienti. «Non si cresce da soli: cresce tutto il sistema, oppure non cresce nessuno».
Il riferimento a casi emblematici – come quello di Gaja, con la sua produzione artigianale che compete con i colossi francesi – serve a ricordare che la qualità non dipende dalla scala, ma dalla capacità di inserirsi in un ecosistema che valorizza ogni anello della filiera.
L’uomo come driver finale: la tecnologia non basta
Nonostante l’enfasi sulla digitalizzazione, Patanè ribadisce un punto decisivo: «Driver è sempre l’uomo». L’intelligenza artificiale accelera e semplifica, ma non sostituisce la capacità di analizzare, interrogare e trasformare i dati in decisioni. È un messaggio che contrasta con la retorica che vede la tecnologia come automatica soluzione ai problemi del settore. Patané conclude dicendo: «Le aziende italiane devono attrarre talenti, superare atteggiamenti difensivi e dialogare con un mercato del lavoro sempre più globale».











