Come funziona la Legge 104 per dipendenti in trasferta

come funziona la legge 104

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I dipendenti con legge 104 possono partire in trasferta, ma non “come tutti gli altri” e non sempre. Per un travel manager o un HR, questo significa ripensare la gestione delle missioni nel rispetto di diritti molto precisi, fissati dalla legge 104/1992 e dalle circolari INPS, e allo stesso tempo garantire continuità operativa all’azienda. Vediamo i punti chiave, partendo dalle basi della normativa e arrivando alle implicazioni pratiche per le trasferte. Ecco come funziona la legge104 rispetto a trasferte.

Che cosa prevede la legge 104?

La legge 5 febbraio 1992 n. 104 è la legge-quadro italiana per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità. Non è solo una legge “di permessi”, ma un quadro complessivo che riconosce alla persona con handicap il diritto a partecipare pienamente alla vita sociale e lavorativa e prevede strumenti concreti per rimuovere o ridurre gli ostacoli che derivano dalla sua condizione. La norma definisce che cos’è l’handicap, distingue i casi di gravità, disciplina l’inclusione scolastica, il collocamento mirato e, per la parte che interessa di più travel manager e HR, fissa tutele specifiche in ambito lavorativo (permessi retribuiti, congedi, limiti ai trasferimenti e alla scelta della sede).

Che requisiti bisogna avere per la legge 104?

Per “avere la 104” non basta una generica condizione di salute: è necessario che una commissione medico-legale riconosca formalmente lo stato di handicap, secondo i criteri fissati dall’articolo 3 della legge. La procedura passa normalmente dalla domanda all’INPS e dalla visita della commissione integrata ASL/INPS, che accerta se la persona rientra nella definizione di handicap e, se del caso, se la situazione è di “gravità”. Solo dopo questo accertamento si può parlare, in modo corretto, di diritti collegati alla legge 104, come permessi, congedi, agevolazioni lavorative o fiscali. Per i familiari che assistono la persona con disabilità, i requisiti comprendono anche il grado di parentela (di solito entro il terzo grado) e l’effettività dell’assistenza, elementi richiamati sia dalla normativa primaria sia dalle guide di enti come ANFFAS e dalle schede istituzionali del Dipartimento per le politiche della famiglia. 

Che agevolazioni si hanno con la 104 sul lavoro?

Sul piano lavorativo, la legge 104 si traduce in un pacchetto di diritti che impattano direttamente sulla pianificazione delle attività e, di conseguenza, sulle trasferte. Il più noto è il diritto a tre giorni di permesso retribuito al mese, coperto da contribuzione figurativa, per il lavoratore con handicap grave o per il lavoratore che assiste un familiare in situazione di gravità; questi permessi possono essere anche frazionati in ore, secondo le regole precisate da circolari INPS e da successive riforme. A questo si aggiungono, in presenza dei requisiti, il congedo straordinario fino a due anni nell’arco della vita lavorativa per l’assistenza a familiari con disabilità grave e, soprattutto, il diritto a scegliere, per quanto possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere, con il divieto di trasferimento ad altra sede senza il consenso del lavoratore indicato nei commi 5 e 6 dell’art. 33. Per l’azienda questo significa che orari, turni, trasferimenti e missioni devono essere programmati tenendo conto di questi vincoli, perché non sono “gentili concessioni”, ma veri diritti soggettivi.

Dipendenti con legge 104 e trasferte: si può partire, e a quali condizioni?

Differenza tra trasferimento e trasferta per chi può richiedere la 104

Arriviamo al punto che interessa di più chi gestisce business travel: un dipendente che beneficia della legge 104 può essere inviato in trasferta? La risposta, in termini generali, è sì, perché la legge 104 non vieta le missioni temporanee; quello che vieta è il trasferimento di sede senza il consenso del lavoratore che assiste un familiare con handicap grave o che è egli stesso disabile, come emerge dall’interpretazione consolidata dell’art. 33 commi 5 e 6. Trasferta e trasferimento, però, non sono la stessa cosa: la trasferta è una missione temporanea, con rientro alla sede abituale; il trasferimento è lo spostamento stabile o comunque di lunga durata della sede di lavoro. Nella pratica, tuttavia, una pianificazione aggressiva di trasferte prolungate e ripetute può avvicinarsi, di fatto, a un trasferimento mascherato, soprattutto se rende impossibile o fortemente difficile l’assistenza quotidiana che giustifica il riconoscimento dei permessi.

Inoltre, l’obbligo di non trasferire il lavoratore senza il suo consenso implica, in chiave trasfertistica, che l’azienda non possa usare la trasferta come strumento per “spostare di fatto” il lavoratore lontano dal domicilio della persona assistita, specie se le missioni sono lunghe, ricorrenti e rendono impraticabile la cura continuativa. La giurisprudenza che ha affrontato il tema dei trasferimenti ha chiarito che le esigenze tecnico-organizzative dell’azienda non possono annullare completamente il diritto alla tutela rafforzata previsto dalla legge 104, se non in presenza di ragioni eccezionali e adeguatamente documentate; lo stesso principio, in chiave prudenziale, dovrebbe guidare anche la pianificazione delle trasferte.  In altre parole, non è sufficiente dire “è una trasferta e non un trasferimento”: se nella sostanza la missione impedisce sistematicamente l’assistenza, il rischio di contenzioso aumenta.

Integrare chi può usufruire della legge 104 nella policy di viaggio

Per un travel manager questo significa che, prima di pianificare una trasferta, è necessario verificare con l’HR se il dipendente coinvolto beneficia di tutele ex legge 104 e in quali termini. Il diritto ai tre giorni di permesso mensile, ai congedi e alla scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona assistita non scompare perché l’azienda ha una missione urgente da coprire. Non è vietato, ad esempio, proporre trasferte brevi e programmate con largo anticipo a un dipendente 104, ma è opportuno fare in modo che queste non cadano nei giorni in cui il lavoratore ha già pianificato i permessi, o che sia possibile riorganizzare i turni per garantirgli il tempo necessario all’assistenza, nel rispetto delle indicazioni INPS sull’effettività della presenza presso il familiare disabile.

Da un punto di vista operativo, la soluzione migliore è integrare esplicitamente la gestione dei lavoratori con legge 104 nella travel policy aziendale. Questo significa, ad esempio, prevedere procedure di segnalazione riservata all’HR del possesso dei requisiti 104, descrivere chiaramente come vengono considerate queste situazioni nella pianificazione delle trasferte, garantire la possibilità di rifiutare o rimodulare una missione quando è in conflitto con i giorni di permesso o con la cura del familiare, e programmare rientri periodici in caso di permanenze più lunghe fuori sede. L’obiettivo non è “blindare” i dipendenti 104, ma costruire un modello di mobilità compatibile con la loro realtà familiare e con i vincoli normativi, evitando improvvisazioni dell’ultimo minuto che mettono in difficoltà sia il lavoratore sia il business.

Uso di permessi mensili legge 104 in trasferta

Un altro tema delicato riguarda l’uso dei permessi durante la trasferta. Poiché la legge e le istruzioni INPS richiedono che i permessi siano utilizzati per assistenza effettiva, è evidente che un dipendente in trasferta lontano centinaia di chilometri dal domicilio del familiare difficilmente potrà legittimare l’uso di quei giorni, a meno che la trasferta non preveda rientri o spostamenti che gli consentano davvero di prestare assistenza. Per HR e travel manager questo si traduce in un’esigenza di coordinamento puntuale: il calendario delle missioni va costruito sapendo quando il dipendente ha programmato di usare i giorni di 104, in modo da non trovarsi con richieste di permesso all’ultimo secondo in mezzo a una trasferta già confermata, con tutto quello che ne deriva in termini di costi, penali e riorganizzazione del team.

Infine, dal punto di vista culturale, la gestione delle trasferte dei dipendenti 104 è un banco di prova della maturità dell’azienda sul tema diversity & inclusionIl rispetto dei diritti legati alla disabilità non è solo un obbligo di legge, ma anche un fattore di reputazione e di retention: un’azienda che pianifica missioni compatibili con i bisogni di assistenza familiare, che evita di forzare trasferte inutilmente gravose e che coinvolge il lavoratore in un dialogo trasparente sulla mobilità mostra di considerare le persone non solo come “risorse” ma come individui. In un contesto di business travel sempre più orientato al well-being e alla sostenibilità sociale, integrare la legge 104 nella travel policy non è un vincolo burocratico in più, ma un elemento di qualità del lavoro.

Scopri anche come rendere inclusiva l’accessibilità in azienda e come beneficiare della 104 nelle strategie del PSCL aziendale.

Photo credit: fauxels

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