I viaggi d’istruzione non sono business travel. Ma forse il business travel potrebbe imparare da loro

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Le associazioni del turismo chiedono regole chiare per le scuole. E ricordano che un viaggio, di qualunque tipo, è sempre un’occasione di formazione.

Le principali associazioni del turismo organizzato – AIAV CNA, Aidit Federturismo, Assoviaggi Confesercenti, ASTOI, Fiavet, FTO e Maavi – hanno lanciato un messaggio chiaro: i viaggi d’istruzione non possono essere trattati come trasferte aziendali.
Lo hanno fatto attraverso un comunicato congiunto, dopo l’incontro del 17 ottobre con i Ministeri dell’Istruzione, del Turismo e dei Trasporti, chiedendo regole chiare, una revisione del bando Consip e una maggiore coerenza con la natura educativa di queste esperienze.

L’attuale impostazione del bando, denunciano le associazioni, è costruita su logiche di business travel – cioè sulla gestione delle trasferte professionali – e non tiene conto del valore formativo dei viaggi scolastici.
Un’impostazione che, secondo le sigle del settore, rischia di penalizzare le imprese specializzate, aumentare i costi per scuole e famiglie e compromettere la continuità educativa di un’attività che da sempre accompagna la crescita degli studenti.

“Servono decisioni rapide e soluzioni sostenibili per non bloccare l’anno scolastico e tutelare il valore educativo dei viaggi e il lavoro delle imprese”, dichiarano congiuntamente le associazioni, che si dicono pronte a collaborare con i ministeri al Tavolo tecnico interministeriale per definire nuove linee guida.

Due mondi diversi, ma non opposti

Il messaggio delle associazioni è netto: i viaggi d’istruzione hanno finalità educative, non economiche. Eppure, nel sottolineare la differenza con il business travel, vale forse la pena chiedersi se anche il viaggio aziendale non possa essere – in qualche misura – educativo.

Chi viaggia per lavoro, infatti, sperimenta a sua volta l’incontro con culture, territori e persone diverse, vive processi di adattamento, sviluppa competenze relazionali e capacità di problem solving.
In un’epoca in cui la formazione continua e le soft skills sono centrali, anche il business travel può – e forse deve – diventare un’occasione di apprendimento e crescita, non solo una voce di costo o un adempimento logistico.

Viaggiare è sempre imparare

Il punto, allora, non è tanto distinguere nettamente tra viaggio d’istruzione e business travel, quanto riconoscere che ogni viaggio, se ben progettato, può avere una dimensione educativa.
Per gli studenti, si traduce in cittadinanza, scoperta, responsabilità.
Per i professionisti, in apertura mentale, capacità di relazione, empatia interculturale.

Le associazioni del turismo hanno ragione a chiedere regole adeguate e coerenti con le finalità didattiche. Ma il loro appello, in fondo, tocca un tema più ampio: il valore educativo del viaggio stesso, in tutte le sue forme.
Che sia con una classe o con un team aziendale, viaggiare resta un modo per imparare, e ogni politica pubblica o aziendale che lo regola dovrebbe ricordarlo.

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