Milano, Roma, Bologna. Ma anche Verona, Torino e Bari. Cosa accomuna questi territori? La risposta non è ovvia: la capacità di attrarre viaggiatori per lavoro, quelli del cosiddetto business travel. Un segmento che non solo riempie hotel e taxi, ma che muove l’economia locale in profondità, con effetti diretti e indiretti su PIL, occupazione e investimenti.
In un momento in cui il turismo leisure torna a crescere – nel 2024, l’Italia ha registrato un surplus record di 21,2 miliardi di euro nella bilancia dei pagamenti turistica, pari all’1% del PIL – è il turismo d’affari a offrire un modello di sviluppo più stabile, sostenibile e di qualità.
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ToggleUn PIL più profondo di quanto sembri
I numeri parlano chiaro. Secondo la Banca d’Italia, il turismo genera in Italia oltre il 5% del PIL e impiega circa il 6% degli occupati. Ma al di là delle vacanze e dei ponti festivi, c’è un flusso continuo, discreto ma potente, che riempie sale meeting, prenota ristoranti nei giorni feriali e occupa camere d’hotel anche in bassa stagione.
È il business travel. Quello dei congressi, delle fiere, degli eventi corporate, dei viaggi di rappresentanza e delle missioni internazionali. Una forma di turismo meno appariscente ma più incisiva, con una spesa media superiore e una filiera più qualificata. È un tipo di turismo meno visibile, spesso sottostimato nelle narrazioni, ma cruciale per l’equilibrio economico di città che vivono anche di servizi avanzati e network professionali.
L’effetto sul PIL locale, però, non si misura solo in cifre assolute, ma in termini di stimolo strutturale. “Un aumento del 10% della spesa turistica straniera per abitante genera una crescita del valore aggiunto pro capite di circa 0,2 punti percentuali nel decennio successivo”, scrive la Banca d’Italia nel box “Turismo e crescita nelle province italiane”. In alcuni territori meridionali, come la Puglia o la Sardegna, l’effetto può arrivare fino a +0,47 punti grazie al maggiore impatto relativo in contesti economicamente più fragili.
Business travel: un valore aggiunto silenzioso
Quanto vale davvero il business travel?
È difficile scindere i numeri del turismo tra leisure e affari, ma le stime – e le esperienze delle città – indicano un dato chiave: il turismo d’affari genera più valore con meno affollamento. Secondo la stessa Banca d’Italia, tra il 2000 e il 2017 la quota di entrate turistiche legate al lavoro è scesa dal 22% al 14%, anche per l’effetto della digitalizzazione. Ma il valore aggiunto resta altissimo: più spesa per giorno, meno impatto su servizi pubblici e ambiente, maggiore ritorno infrastrutturale.
Inoltre, i territori che ospitano fiere ed eventi (Milano, Verona, Bologna, Torino) beneficiano di effetti strutturali a lungo termine: infrastrutture modernizzate, reti internazionali, attrattività per investimenti esteri.
Ma il turismo d’affari ha un’altra particolarità: non è stagionale, non è rumoroso e non satura le città. Porta viaggiatori nei giorni feriali, occupa camere d’hotel in bassa stagione, utilizza ristoranti, trasporti, spazi congressuali e servizi locali. E spesso, li usa al meglio. Secondo i dati di Istat e WTTC, la spesa giornaliera del viaggiatore business è superiore a quella del turista medio, con una propensione alla spesa elevata nei servizi di fascia medio-alta.
Inoltre, il business travel è collegato a dinamiche di investimento e produttività: quando una città ospita eventi internazionali, fiere, congressi, convegni medici, attiva una filiera articolata che va dall’hotellerie ai fornitori audiovisivi, dalle imprese di catering a quelle di logistica. “Gli eventi hanno effetti duraturi se accompagnati da investimenti strutturali e politiche locali coerenti”, sottolinea ancora il rapporto della Banca d’Italia parlando dell’eredità dell’Expo 2015 o del Giubileo.
L’effetto territoriale: piccoli numeri, grandi impatti
Secondo l’analisi della Banca d’Italia su 95 province italiane, un +10% di spesa turistica straniera pro capite produce una crescita del valore aggiunto locale dello 0,2% nel decennio successivo. Nei territori con PIL pro capite basso – in particolare nel Mezzogiorno – l’effetto arriva a +0,47%. Piccoli numeri, ma costanti e duraturi.
Non solo: l’impatto del turismo d’affari è meno soggetto a fenomeni di saturazione o congestione urbana, rispetto a quello culturale o balneare. È un turismo che vive le città nei giorni feriali, che alimenta l’economia senza affollarla.
Milano chiama, ma anche Torino risponde
Milano, Roma, Torino: il triangolo del valore
Torino ha capitalizzato l’eredità delle Olimpiadi 2006 con strutture e flussi che ancora oggi alimentano un turismo congressuale di livello.
Milano è il simbolo del business travel in Italia: capitale finanziaria, sede di Fiera Milano, polo internazionale di eventi. Il viaggiatore d’affari qui spende, in media, più che in qualunque altra città italiana.
Roma, pur trainata dal turismo culturale, beneficia della domanda legata a grandi eventi (Giubilei, vertici internazionali) e al comparto istituzionale.
Il rischio? Dimenticare la leva più sostenibile
Nel dibattito sulle politiche turistiche italiane – spesso incentrato su mare, città d’arte e vacanze estive – il turismo d’affari resta il grande assente. Eppure, è proprio questo segmento che potrebbe:
- ridurre la stagionalità,
- distribuire i flussi in modo più equilibrato sul territorio,
- generare occupazione stabile e qualificata,
- e sostenere il PIL locale anche in contesti urbani non tradizionalmente turistici.
Ma serve strategia. Serve governance. Serve un coordinamento nazionale e locale per intercettare una domanda sempre più frammentata ma ad alta potenzialità.
Business Travel, una testa pensante
Nel 2024 l’Italia ha registrato il valore più alto dal 2019 nella bilancia turistica, confermando la sua forza attrattiva. Ma se vogliamo che il turismo continui a essere un motore economico e sociale, dobbiamo guardare anche oltre le vacanze. Deve imparare a guardare anche dove nessuno guarda. E valorizzare il turismo che non si vede nelle cartoline: quello dei professionisti, degli imprenditori, dei medici, dei manager e dei buyer internazionali.
Il business travel non è la coda del turismo. È la sua testa pensante. Lì dove si crea connessione, si generano affari, si innestano relazioni economiche. E dove, silenziosamente, si produce PIL anche quando nessuno posta foto sui social.