24.000 voli in un giorno: il business travel come termometro della globalizzazione sociale ed economica

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Di recente, mi sono imbattuta in un post su LinkedIn del professor Herman Singh, CEO, docente di Digital Strategy e voce autorevole nei dibattiti sull’innovazione globale. Il suo grafico mostrava un dato impressionante: 24.000 voli tracciati in un solo giorno. Un record assoluto.

Quel numero, apparentemente tecnico, mi ha acceso una riflessione. Non solo per il dato in sé, ma per ciò che rappresenta nel contesto attuale: in un mondo che molti descrivono come in via di “de-globalizzazione”, quel cielo affollato racconta l’esatto contrario. E il settore del business travel ne è una delle manifestazioni più evidenti.

Il mondo non si sta chiudendo. Sta cambiando ritmo.

Le narrazioni sulla fine della globalizzazione spesso confondono il ritiro selettivo di alcune economie (come gli Stati Uniti sul turismo outbound o sulla manifattura tradizionale) con una tendenza generale. In realtà, il processo è più complesso: si sta assistendo a una ristrutturazione delle catene del valore, non alla loro scomparsa. Le imprese ricalibrano, ma non chiudono.

Quello che emerge è una globalizzazione più distribuita, meno dipendente da singoli poli dominanti e più interconnessa tra nuovi attori globali: Sud-Est asiatico, Africa, America Latina, Medio Oriente. E questo ha profonde implicazioni economiche e sociali.

Dal punto di vista economico, il business travel rappresenta una delle principali infrastrutture soft per la crescita. Dove c’è movimento di persone, c’è scambio di idee, firmatari di contratti, innovazione condivisa. Le aziende investono in presenza fisica perché il contatto diretto resta insostituibile per costruire fiducia, partnership e cooperazione internazionale.

Sul piano sociale, il viaggio d’affari è una forma di diplomazia economica, ma anche culturale. Mette in relazione ecosistemi diversi: imprese, università, startup, istituzioni. Alimenta la mobilità sociale per chi lavora nei servizi collegati – dagli aeroporti all’ospitalità – e contribuisce all’inclusione globale di competenze e opportunità.

Turbolenze geopolitiche? Il viaggio resta un diritto (e un dovere)

Anche in un mondo più instabile dal punto di vista geopolitico, il bisogno di connessione rimane intatto. Anzi, aumenta. Proprio perché le tensioni crescono, aumenta la necessità di dialogo, comprensione e cooperazione. Il business travel non è solo logistica, è geoeconomia in movimento.

Le aziende che restano collegate al mondo, che investono in relazioni globali e nella presenza internazionale, sono le stesse che mostrano maggiore resilienza. Il viaggio – fatto con intelligenza, sostenibilità e strategia – è oggi un asset competitivo.

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