Suggerimenti per viaggiare ed esportare verso l’Asia Pacific

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Mi accade di parlare con imprenditori che sono ancora molto confusi su come approcciare, partendo da zero, l’export verso l’Asia Pacific, un’area molto vasta e ancora poco sfruttata in relazione alle sue potenzialità.

Da parte mia, mi stupisco ancora di incontrare aziende sane, con un buon prodotto, che, nell’anno di grazia 2017 non sono ancora strutturalmente presenti nell’area che conta il 50% della popolazione mondiale e le maggiori previsioni di crescita per i prossimi decenni.

L’articolo vuole essere un contributo, il più semplice possibile, utile a chiarire le idee agli imprenditori che si stiano interrogando su come espandersi in questa zona del mondo (molte considerazioni ovviamente valgono anche per altre destinazioni).

Situazione Tipica di Partenza

L’azienda sta sviluppando la consapevolezza di aumentare la propria quota di export e prende in considerazione l’area l’Asia-Pacific. La conoscenza e l’esperienza aziendale su quei mercati è pressoché nulla, in alcuni casi c’è stata qualche rara e occasionale vendita nel passato.

L’obiettivo non è di fare qualche vendita spot, ma di creare le basi per sviluppare un mercato continuativo nel tempo.

Voglio essere estremamente chiaro a costo di essere un po’ brutale. Anche ammesso (e non concesso) che l’azienda in esempio sia una leader del mercato italiano, è bene che si renda conto che sta andando in un mercato che è 100 volte più grande e dove è una perfetta sconosciuta. Sta uscendo dalla sua confort zone fatta di relazioni consolidate e di conoscenze reciproche per andare alla scoperta di un mondo nuovo.

Fino ad oggi i consumatori di quei luoghi hanno comunque soddisfatto le loro esigenze. Hanno comprato altrove; forse un prodotto peggiore, magari meno funzionale, più arretrato, o “solo” meno bello, ma comunque hanno soddisfatto le loro esigenze. Chissà, quello che per voi è un prodotto mediocre potrebbe essere il loro brand di riferimento. Se così fosse, meglio così, meglio per voi, ma sostituire nella loro testa il vecchio prodotto con il vostro comporterà comunque un lavoro impegnativo, non troverete tappeti rossi all’aeroporto.

L’atteggiamento giusto è: nessun timore e fiducia nei propri mezzi ma consapevolezza e perseveranza.

Autoanalisi: il mercato

Proviamo a abbozzare un percorso razionale di approccio al problema; la prima cosa da fare è fare un’analisi con le informazioni a disposizione.

I competitors vendono già in quelle zone? Sappiamo dove?

SI: bene, il mercato per un prodotto d’importazione già esiste e possiamo essere confidenti che ci sarà la possibilità di ritagliarsi uno spazio, se saremo almeno bravi come lo sono stati i concorrenti.

NO: se abbiamo notizie certe di falliti tentativi da parte di competitors; è bene approfondirle il più possibile, dobbiamo capire se il fallimento è derivato da errori nell’approccio o dalla mancanza di mercato per i prodotti di importazione. Quest’ultima è un’eventualità abbastanza rara (in genere è quantomeno un errore di posizionamento) ma l’ipotesi non va esclusa: massima lucidità e onestà intellettuale, se i prodotti sono a bassa tecnologia e a basso valore aggiunto in quanto a design e/o immagine, è meglio rinunciare, vi sono sicuramente produttori locali più competitivi. Il fallimento nell’approccio del concorrente invece può essere un vantaggio, una miniera di informazioni su cosa NON fare. In ogni caso, cerchiamo fonti attendibili, ex dipendenti, fornitori/clienti comuni, chiunque possa sapere di più su quella esperienza.

NON SO: servono informazioni. Dovremmo destinare subito un budget per un’azione che abbia il solo obiettivo di portarci informazioni utili a poter poi decidere la strategia successiva.

Autoanalisi: l’Azienda

Parallelamente all’analisi del mercato, iniziamo a chiederci se l’azienda è strutturata internamente per affrontare la nuova sfida.

Vi sono risorse al commerciale/customer service (ovviamente che parlino e scrivano almeno l’inglese) da destinare a far seguire questo mercato? La struttura è in grado di garantire risposte in tempi accettabili? (indicativamente possiamo rispondere alle mail in 24/36 ore e siamo in grado di spedire un’offerta in 48/72 ore?).

Abbiamo documentazione commerciale e di marketing in inglese? Che tempi vi sono per far realizzare ulteriori versioni costruite ad hoc per il mercato di destinazione e/o in altra lingua (cinese ad esempio)?

Controlliamo che il sito internet sia aggiornato e chiediamoci se è comprensibile anche dai non addetti ai lavori: il nostro interlocutore potrebbe non essere così tecnicamente preparato come siamo abituati in Europa (nota: non è comunque detto che il sito sia facilmente accessibile dalla Cina, ma questo è un altro discorso).

Prima di proseguire nel tema dell’articolo, di cui trovate la prima parte qui, consentitemi una digressione su un approccio che ancora oggi capita di ascoltare: l’approccio all’export tramite agenti.

Togliamoci dalla testa gli agenti

Molti imprenditori italiani quando pensano all’export pensano agli agenti, inteso ovviamente nel senso “ti do 4 cataloghi ma ti prometto provvigioni altissime”

Bene, questo approccio DIMENTICATELO, NON FUNZIONA. MAI.

(Nota a margine: personalmente, anche quando si tratta dell’Italia, ho molte riserve sulle reti vendita costituite da agenti, soprattutto nel B2B tecnico che è tipico della PMI italiana).

La prima fase della penetrazione dei mercati esteri è fatta da un umile businessdevelopment, dove si va in giro a conoscere e farsi conoscere. Su un’area vastissima! Da Shanghai a Urumqi ci sono 6 ore di volo; per andare da Auckland a Perth ce ne vogliono 7 ½.

Che ci siano “soggetti” disposti a fare questo investimento al posto dell’azienda che poi ne beneficerà è una pia illusione: voi non investite sullo sviluppo commerciale del vostro brand/prodotto e dovrebbe farlo un agente?

Inoltre spesso il cliente finale non è pratico e/o non vuole occuparsi di importazioni (anche per motivi valutari e autorizzativi), e perciò si affida a distributori. Credetemi, gli agenti (che poi non sono altro che dei segnalatori locali necessari per coprire il vasto territorio), lasciateli gestire ai vostri partner locali; a voi servono interlocutori con un minimo di struttura per poter aver successo.

Ma torniamo al tema dell’articolo.

Alternative operative

Raccolte le informazioni di autoanalisi abbiamo un quadro più chiaro, non definitivo, ma in grado di farci affrontare con più cognizione un interlocutore professionista e avere più possibilità di capire chi è il soggetto più idoneo alle nostre necessità.

La prima scelta da fare è la risorsa che ci aiuterà a definire nel dettaglio il progetto e che sarà poi responsabile della sua esecuzione.

È questo il momento in cui si presenta una scelta importante: assumere una risorsa interna o affidarsi ad un professionista esterno.

Se la scelta sarà quella di assumere un export manager al quale affidare lo sviluppo dell’area, presumibilmente lo troverò o con esperienza del settore o con esperienza dell’area: difficile che possegga entrambe le caratteristiche (in questo caso sarà sicuramente una figura middle/senior).

Tra una persona con esperienza del prodotto e una con esperienza dell’area io preferirei la seconda perché è indubbiamente più veloce e facile apprendere le caratteristiche del prodotto, mentre avere dimestichezza con la mentalità e i luoghi richiede anni di esperienza.

A parità di professionalità con un professionista, l’assunzione di un quadro/dirigente dedicato full time al progetto comporta un costo certamente superiore (RAL di 70-80K almeno) e quindi questa scelta presuppone una notevole sicurezza sul rapido sviluppo delle vendite.

L’assunzione di uno junior permette di risparmiare sulla retribuzione (RAL 40K) ma dilata i tempi e aumenta il rischio di errori nelle scelte strategiche e nell’esecuzione (l’esperienza d’altronde si paga sempre, o in anticipo o a piè di lista).

Il mio suggerimento è quello di partire con un professionista, e spiego perché.

Fermo restando che il progetto di espansione è strategico per l’azienda, ed è quindi naturale che l’assetto definitivo debba vedere una risorsa interna dedicata a tale funzione, non credo però che sia conveniente partire da subito con tale assetto, e anzi il ricorso ad un consulente nella prima fase del progetto mi sembra più opportuno ed economico.

È opportuno innanzitutto perché il lavoro della prima fase è diverso da quello a regime. Il business development è un’attività difficile, diversa dalla gestione commerciale ordinaria, e non tutti sono adatti a partire da zero. Il professionista (che è esperto sicuramente dell’area e probabilmente ha già trattato prodotti simili) mi aiuterà, con la propria competenza, esperienza e rete di contatti (della quale sono privo), sia a definire il progetto in dettaglio (indirizzando l’azione verso i Paesi e i canali più idonei, aiutandomi a colmare le lacune negli strumenti e nell’organizzazione aziendale) sia a metterlo in atto.

Perché più economico. Nella fase di sviluppo, il lavoro sarà necessariamente discontinuo, potrà prevedere cambi di rotta e adattamenti, sarà fatto di missioni e fiere intervallate da tempi morti: un dipendente non verrebbe utilizzato a pieno e quindi ritengo preferibile, allo stesso costo di uno junior export manager, usufruire della professionalità senior di un professionista.

Nella seconda metà del progetto (la cui durata ideale possiamo stimare in 24 mesi), quando si avranno le idee oramai chiare sulla linea di sviluppo, si potrà ricercare con maggiore cognizione la figura aziendale destinata a gestire l’area. In questa fase il professionista svolgerà la parte finale del suo compito: sarà il supporto tecnico nella selezione della risorsa che poi affiancherà introducendolo presso tutti i contatti creati e trasmettendogli le esperienze maturate.

Attenzione, la ricerca e l’introduzione di un’area manager sarà probabilmente l’esito più frequente, naturale direi, ma non diamolo per scontato. E se il successo fosse consistente? Potrebbe essere il caso di valutare l’inserimento di un resident area manager, oppure di aprire una rappresentanza commerciale in loco.

In questo caso avere già un professionista che ha seguito il progetto si rivelerà un grosso vantaggio perché potrà dare immediatamente corso a questo sviluppo (e non avremo sbagliato assumendo una persona in seguito rivelatasi non idonea alle esigenze).

La selezione del Project Manager

Sia per che si opti per un dipendente che per un professionista, io partirei con una ricerca su Linkedin o sulla piattaforma di Travel for business, la tipologia di figura ricercata è tra quelle sicuramente presenti e ci sono molti validi professionisti.

Il passo che state facendo è fondamentale per la riuscita del progetto, investitevi del tempo iscrivendovi a qualche gruppo dedicato all’export, ce ne sono molti, leggete gli interventi e curiosate sui profili (non è auto pubblicità, i miei interventi sono prossimi allo zero).

Poi, eventualmente, passate alla pubblicazione di un annuncio vero e proprio, sempre su Linkedin oppure ricorrete ad un’agenzia di ricerca di personale, non lesinate sulla selezione, sarà la risorsa umana che farà la differenza tra un successo e un fallimento.

A tutti i migliori auguri per una proficua espansione all’estero !

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