Perché il viaggio d’affari di una donna è diverso da quello di un uomo?

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Ci sono studi, ricerche e punti di vista che mostrano spesso le differenze tra un uomo e una donna nei rapporti personali e professionali, nelle aspettative e più generalmente nei comportamenti sociali.

Quanto queste differenze sono presenti e reali anche nella gestione e organizzazione di un viaggio di lavoro? Quali sono le difficoltà che una donna affronta quando viaggia per affari?

Lo abbiamo chiesto a Lucilla Rizzini, business & export coach, viaggiatrice seriale e membro della community di Travel for business.

Era febbraio del 2010 quando sul volo air dolomiti rientrando da Francoforte dopo un lungo periodo di  incontri e negoziazioni con clienti in Giappone, Germania e India ha deciso di intraprendere l’impegnativo viaggio della libera professione come consulente e coach per l’internazionalizzazione.

Lucilla, quali sono secondo la tua opinione le principali differenze?

Una delle primissime differenze che riscontro parte già dalla preparazione della valigia. La donna tende solitamente a portarsi dietro tanta roba: abbigliamento, trucchi, sciarpe, accessori, gioielli ecc…che la costringono spesso a dover fare una valigia più grande ed ingombrante per un viaggio di lavoro, oltre che portarsi dietro più borse per contenere il tutto.

Con il tempo ho imparato ad organizzare bene tutti questi aspetti. C’è stata una evoluzione del mio modo di viaggiare e di prepararmi al viaggio che mi ha permesso di essere molto efficiente. Oggi ad esempio preparo il trolley ( e solo quello!) in meno di cinque minuti. So perfettamente  che cosa mi può servire in viaggio e cosa mi servirà per i miei incontri professionali nel momento in cui atterro.

Un modo di operare che nasce anche da una serie di esperienze che mi sono capitate in passato. Mi ricordo di un viaggio per New York dove la mia valigia non era arrivata a destinazione e il piccolo necessaries che avevo portato per il viaggio lo avevo scordato sul volo precedente per Londra.

All’epoca ero direttore vendite ed ero con il mio boss, il direttore generale. Avevamo previsto che appena atterrati saremmo subito andati al dal nostro più importante prospect.
Peccato che proprio in quei giorni avessi il mio periodo mestruale! E vagli a spiegare che hai bisogno, prima di fare colazione e prima di andare di corsa dal cliente….di fermarti in un qualsiasi drugstore per acquistare quello che ti serve per stare bene e condurre la trattativa al top delle tue possibilità.

Una piccola esperienza che mi ha insegnato, ad esempio, le cose fondamentali da portarsi in borsetta e che non devono mai mancare:

  • Spazzolino da denti
  • Gel per le mani
  • Filo interdentale
  • Qualche campioncino di creme per il viso, di quelle molto concentrate che spazzano via la stanchezza in un nano secondo
  • Prodotti per l’igiene generale in piccoli kit
  • E anche qualche medicinale come una semplice aspirina o un antidolorifico.

Non ho mai più messo queste cose in valigia perché dopo la brutta esperienza newyorkese non ho voluto assolutamente ripeterla: spiegare ad un uomo ciò che ti serve, e come ci si può sentire in imbarazzo in quei momenti non è per niente facile.

Come organizzi la tua valigia per un viaggio di lavoro?

Oggi organizzo la mia valigia in base alle persone che incontro, valutando non solo gli interlocutori ma anche i paesi e le culture che vado a visitare.

Questi sono aspetti che suggerisco a tutte le donne che viaggiano per business.

L’abbigliamento dice molto di te e presentarti in un certo modo piuttosto che in un altro può, davvero, fare la differenza. Tuttavia, voglio sempre sentirmi bene ed essere autentica e, anche se, vesto generalmente “casual” (senza troppi abitini e fronzoli) ci metto tanta cura.

È inutile ad esempio mettersi un tailleur se poi non ti senti a tuo agio. È meglio, invece, vestirsi nel modo in cui riesci ad esprimerti al meglio e sentirti te stessa in quel vestito.

I tacchi? Li amo e non potrei farne a meno ma a volte sono davvero di troppo, sia per gli spostamenti che per incontrare una certa tipologia di cliente.

Al primo incontro voglio essere però un poco più formale, che per me vuol dire mettere una giacca. L’importante è, comunque, sempre sentirsi bene, senza mai esagerare in uno stile troppo elegante o peggio provocante.

Ci sono differenze tra il primo e gli incontri successivi?

Per un primo incontro tendo a portare qualcosina in più in valigia. Ma già dal secondo incontro, conosciute le persone e la loro personale cultura e soprattutto lo stile comunicativo, mi adatto alle situazioni, pur sempre portando la mia autenticità.

Questa è un’altra delle differenze che riscontro spesso tra un viaggiatore ed una viaggiatrice per lavoro. L’uomo, infatti, tende ad avere una sua etichetta che, a mio giudizio, non sempre è allineata alle situazioni o alle persone.

Ad esempio, conosco molto bene la cultura tedesca e vedo sempre più che i business men in Germania si presentano spesso senza giacca e cravatta. E quando incontrano un manager italiano, spesso impettito con i suoi abiti bellissimi made in Italy, avverto quanto questo look possa mettere in soggezione il cliente estero.  Ci sono stati dei casi in cui ho proprio notato una certa resistenza al dialogo perché l’abbigliamento troppo formale incuteva addirittura timore. Come l’ho capito? Dalla comunicazione non verbale: lo sguardo ed il corpo dicono molto più delle parole!

Ritengo, invece, che creare empatia, anche dal punto di vista di comunicazione di stile, sia fondamentale per il successo del business.

Quali sono le differenze di stile tra un paese e l’altro?

In Italia tendiamo ad essere molto attenti al look. Ci piace vestirci bene e come ho detto il nostro made in Italy nell’abbigliamento è sempre un bell’esempio da portare nel mondo. Ma, spesso le persone di altri Paesi non hanno lo stesso nostro senso estetico.

Sempre facendo l’esempio della Germania, le donne non sono sempre così curate come si usa fare in Italia.  Chi è alle prime esperienze di viaggi internazionali dovrebbe sapere che fuori dall’Italia c’è un’altra cultura del bello e dell’apparire.

Ecco quindi che suggerisco di evitare di mettersi in ghingheri…perché spesso dall’altra parte trovi una persona semplicissima che non apprezzerebbe troppa pomposità.

In passato ho visto ad esempio delle colleghe prepararsi per un viaggio di lavoro esattamente come se dovessero andare ad un matrimonio! Con risultati pessimi nella relazione con le persone.

Un altro suggerimento è quello di comprendere dove si va, conoscere gli interlocutori e la cultura del paese. Oggi i social ci aiutano tantissimo a capire chi andremo ad incontrare. Dalle foto possiamo già farci un’idea della persona, nella sua storia o dal suo curriculum su linkedIn troviamo già tante informazioni. Insomma dovremmo cercare di fare quello che sarebbe essenziale ogni volta che ci prepariamo ad incontrare un nuovo cliente. Ed è quello che ad esempio fanno i cacciatori di teste con noi quando iniziano il percorso di selezione.

A volte, come dico spesso ai partecipanti ai miei corsi, fare un passetto indietro sarebbe utile: perché bello ed elegante non equivale per forza a fare business!

Qual è stata la tua esperienza di viaggio più incredibile?

Sicuramente il mio primo viaggio in India: uno choc culturale pazzesco. Avevo da poco iniziato a collaborare con un distributore locale che si era offerto di organizzare il mio transfer dall’aeroporto all’hotel.

Io sono una donna indipendente, mi piace guidare e mi stavo già organizzando con una macchina a noleggio per raggiungere l’albergo.

Viste le insistenze del mio cliente, accetto il suo transfer. E meno male!!!!

Perché a Mombai, alle 11 di sera, ho capito in che caos sarei capitata. C’erano risciò e mucche ovunque: una confusione infernale.

Arrivata in albergo, un cinque stelle che avevo prenotato dall’Italia con richiesta di camera non fumatori,  mi accorgo che mi avevano consegnato le chiavi di una camera per fumatori.

Forse stanca del viaggio o semplicemente più “energica” del solito mi sono recata come una furia alla reception. E qui ho avuto la mia prima lezione! La signora della reception non ha fatto una piega, anzi si è dimostrata di una gentilezza e cortesia davvero disarmante che mi ha fatto sentire in imbarazzo. Per scusarsi mi hanno affidato una suite e una sorta di “maggiordomo” che mi  ha coccolato per tutta la durata del soggiorno.

Questo approccio, però, è tipico della loro cultura e indipendentemente che tu sia un cliente o un fornitore sei sempre accolto con grande rispetto e con tante attenzioni.

E questo non perché sei una donna (perché quando sono ritornata con il mio general manager hanno avuto le stesse cure), ma semplicemente perché sei una persona che può offrire loro qualcosa.

Una grande lezione che mi ha insegnato che non sei tu che devi coccolare…perché lo fanno già loro in modo naturale. Tu, come export manager, devi piuttosto riuscire a trovare altri strumenti per entrare in “stato di comunicazione egoless”.

Per farlo il primo step è innanzitutto  quello di ascoltare prima di parlare…e quando dico “ascolto” intendo non solo con le parole ma anche e soprattutto con gli atteggiamenti e con tutti i sensi.

So che stai preparando il tuo prossimo corso “Do you speak export?”.

Sì, il workshop si terrà il prossimo 7 aprile a Brescia. Con sorpresa noto che il settanta per cento di chi si è registrato ad oggi sono donne: export manager (senior & junior), imprenditrici e temporary manager; proprio in questo incontro mi piacerebbe affrontare, anche se marginalmente, i diversi approcci tra uomo e donna nel fare export.

Chissà, magari l’Export italiano sarà nelle mani delle donne?

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