Le origini della cultura brasiliana

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Parlare oggi di cultura brasiliana significa avere il quadro generale di una popolazione multietnica con oltre 200 milioni di abitanti e le innumerevoli sfaccettature non sempre recuperabili nel corso della storia. Secondo i dati forniti dall’IBGE (Istituto brasiliano di geografia e statistica) che con non poche difficoltà e vari metodi di mappatura, è riuscito oggi a definire una mescolanza di culture e vite umane pienamente integrate nella società brasiliana. Il tempo e l’uomo sono gli sperimentatori per eccellenza e la storia socio – culturale brasiliana scrive una della pagine più variopinte del pianeta. Intrattenere e costruire rapporti economici con un Paese come il Brasile è per un viaggiatore d’affari un’esperienza affascinante e ricca di stimoli.

Le etnie del territorio brasiliano

Prima della colonizzazione portoghese un vasto numero di etnie indigene popolavano il territorio brasiliano, i cosiddetti indios: gruppi di tribù tra cui gli amerindi, stanziati tra la costa e l’Amazzonia meridionale, i borobò nel Brasile centro – meridionale, i nambikwara nel Brasile occidentale, i caribi popolazione nomade nota per l’usanza del cannibalismo che si stabilirono nell’ area amazzonica e i tucano tra Columbia, Ecuador e Brasile.

Queste popolazioni vivevano di caccia, pesca e di raccolta stanziandosi in territori più favorevoli ma essenzialmente nomadi, tranne qualche gruppo rifugiato nella foresta Amazzonica per sfuggire alla penetrazione portoghese conservando la propria identità, oggi nella maggior parte estinti. Con l’arrivo dei portoghesi nel 1500 sulle coste atlantiche si costituirono le originarie zone portuali che determinarono i primi commerci con l’Europa e lo sviluppo del Paese. Lo sfruttamento forestale e minerario fu da subito svolto impiegando tragicamente come schiavi le popolazioni indios, che non erano abituate ai lavori pesanti, già decimate ed indebolite dalle malattie trasmesse dai portoghesi. Per limitare lo sterminio delle popolazioni indigene ebbe inizio la vergognosa tratta degli schiavi dal Congo e dall’Angola tra il XVI e il XIX: il commercio degli schiavi di origini africana fu in principio per lavorare la terra poi successivamente sfruttato nelle miniere d’oro e diamanti e nelle piantagioni di caffè. Le popolazioni africane fino all’abolizione della schiavitù nel 1850, incrementarono in modo incisivo la mescolanza della componente europea.

L’ immigrazione europea in Brasile

La soppressione della schiavitù in Brasile avvenuta solo nel 1888, sostenuta dai Gesuiti, portò allo spopolamento delle campagne con la migrazione degli ex schiavi verso le grandi città brasiliane. Di conseguenza tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX secolo il Paese richiedeva una massiccia offerta di manodopera, diventando così una meta allettante, per chi in cerca di lavoro fuggiva dalle guerre e dalla povertà del proprio Paese. Si susseguirono in Brasile una serie di flussi migratori costituiti da una prima minoranza di italiani, seguiti da portoghesi, spagnoli, tedeschi, giapponesi, libanesi e siriani, stanziandosi nelle grandi città nel sud del Paese come Rio de Janeiro, San Paolo e Porto Alegre e nelle zone rurali con condizioni climatiche più favorevoli. Secondo le stime dell’ IBGE tra il 1850 e il 1950 in Brasile entrarono circa 4,8 milioni di persone, di cui 1,5 milioni risultano essere italiani. L’incessante immigrazione negli anni ha reso il Brasile lo stato più popoloso del sud America creando un grosso squilibrio nella distribuzione della popolazione. Non meno importante è stato l’influsso culturale proveniente dall’America a cavallo dell’ultimo secolo, soprattutto nelle nuove generazione, andando a condizionare ulteriormente lo stereotipo dell’ identità nazionale brasiliana.

Alla scoperta delle tradizioni brasiliane 

La convivenza di etnie nel susseguirsi degli avvenimenti storici ha unito un popolo orgoglioso della propria identità a cominciare dalla lingua, il portoghese nelle versione brasiliana, mescolando indigeni, europei, africani, asiatici e arabi. Alcuni studi sulla cultura del Brasile hanno fatto emergere quanto sia stato difficile creare una mappatura in termini storico culturali della popolazione, quella che oggi compone la tradizione brasiliana nel suo insieme. Tuttavia ciò che unisce un popolo oltre la lingua, è la cultura del cibo, oltre agli stereotipi di cui gode il Brasile.

Gli indios che praticavano la caccia, la pesca e coltivavano mais non erano in linea con le esigenze alimentari dei portoghesi, che dovettero sostituire la farina di grano con quella di manioca. Nasce così uno dei piatti principali nel periodo della colonizzazione portoghese, la pococa, composto da pesce o carne tritati nel mortaio e mescolati con farina di manioca. Da provenienza portoghese, la civiltà coloniale avviò le tecniche di allevamento con l’introduzione dei prodotti che ne derivano (latte, salumi, formaggi) e la loro fabbricazione. Con la tratta degli schiavi africani la cucina brasiliana ebbe una nuova rivisitazione: i servi che cucinavano per i loro padroni apportarono una mescolanza più complessa tra la tradizione indigena, portoghese e africana. Si troveranno nuovi condimenti come l’olio di palma, il peperoncino e la farina di manioca cucinata, la farofa, fino ad arrivare alla ricetta tipica, che nel ‘900 verrà riconosciuto come piatto nazionale, la feijoada, a base di fagioli neri, carne e verdure il simbolo dell’unità brasiliana. Del resto in un mosaico così variegato è più facile e spontaneo il riconoscimento di un elemento unitario, che recuperare le origini disperse nei silenzi della storia.

 

 

 

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